mercoledì 20 febbraio 2019, 23:37
A Te, che – invisibilmente – asfaltasti il mio tour fotografico di emozioni
mandavo giù il mio caffellatte in una bettola cinese dalle pareti odoranti di muffa
ubriachi e puttane esibivano le loro esistenze rottamate mentre io sfogliavo il quotidiano
sulla facciata dell’edificio in stile liberty nei pressi della stazione ferroviaria una smorfia beffarda
lo sfogo di un’amica innocente creduta da sempre un’assassina e le sue parole di ringraziamento sullo scontrino della pizzeria per il tempo trascorso insieme
la bionda insegnante trafitta dal ricordo del marito sparito in circostanze misteriose dalla sua vita venti anni prima
la Madre che quattro anni addietro implorava al telefono l’arrivo della Morte per svincolarsi dalla spietatezza del carcinoma renale che la stava divorando
ogni volta le montagne attorno a merano e le baite sulle verdi radure che la adornavano erano abili a proiettare quel ricordo davanti agli occhi e a esibirlo con la stessa sequenza della volta precedente
--- senza nulla aggiungere o nulla togliere ---
come fosse una puntata di una delle mie serie robotiche preferite di cui ormai anticipavo le battute dei dialoghi prima che esse venissero pronunciate.